Il piacere e il dispiacere del pensare.
«Si potrebbe fissare un prezzo per i pensieri. Alcuni costano molto altri meno. E con che cosa si pagano i pensieri? Credo con il coraggio»
L. Wittgenstein
Il pensare è un piacere nella misura in cui viviamo equilibri particolari entro la nostra vita biologica, emotiva, biografica, relazionale e spirituale. Il piacere del pensare è facilmente rilevabile dai sistemi biologici di gratificazione attraverso meccanismi causali e funzionali. Noi godiamo nel corpo gratificazioni di varie esperienze funzionali, somatizziamo i pensieri in generale e godiamo di certi pensieri in particolare. Difficile dire se il corpo stimola o gratifica un sistema di pensieri, è più facile pensare che il corpo sia uno dei componenti del piacere del pensare. Sicuramente il piacere del pensare si contrappone al dispiacere, e dunque il corpo si presta a sostenere o limitare il nostro pensare. Fin da bambini, senza renderci conto, immagazziniamo esperienze che nel tempo chiamiamo emozioni; il sistema di memorizzazione procede attraverso memorie corporee abbinando ad esse sensazioni e pensieri, che evidenziano. e connotano le esperienze, grazie alle emozioni. Quindi il nostro vivere è funzionale ad un corpo e a delle emozioni: il pensiero porta memorie del corpo e memorie emotive che, sviluppate in un continuum cronologico temporale, vanno a costituire la nostra storia personale o autobiografica. Un pensiero è dunque l’esemplificazione di un corpo, che vive di esperienze fisiche ed emotive, le cui memorie vengono mantenute nel tempo in quella che noi chiamiamo la nostra storia. Ma il nostro pensiero si interessa di relazioni, il piacere del pensare essenzialmente modula una risposta relazionale. Se il pensare è relazionarsi con noi stessi e con gli altri, il piacere del pensare ci mantiene in relazione col pensiero, ed il pensiero si dedica a creare, a mantenere relazioni col mondo e con gli altri. Il pensare e il piacere di pensare appartengono, a loro volta, al dialogo continuo che ognuno di noi mantiene con se stesso, pensare è dunque dialogare con noi stessi e simulando relazioni con altri all’interno di una storia che rappresenta una dimensione spazio temporale in cui viviamo la continuità di noi stessi, una continuità fatta di memorie emotive e di memorie fisiche. Il piacere del pensare è un complesso sistema di continuità psicofisiosociospiritalemotiva in cui noi esistiamo percependo, siamo attenti e coinvolti sentendo, ci ritroviamo e ci confermiamo ricordando le storie che ci riguardano, ci accompagniamo in continue relazioni con gli altri, intrattenendoci continuamente con noi stessi attraverso un dialogo continuo che chiamiamo pensiero. Mi piace collegare il coraggio cui accenna Wittgenstein al piacere del conoscere il nuovo, al coraggio di lasciare il vecchio: il coraggio del cambiamento.
“Insegnami a scordarmi di pensare.”
William Shakespeare
Quando il pensiero si fa fisso, ricorsivo, denigrante, allora possiamo definire il pensare un dispiacere. Come sa bene chi lo abbia sperimentato, sfuggire al loop dei pensieri, alla spirale che continua ad avvolgersi su se stessa e non lascia spazio, tregua, vitalità, può essere un’impresa titanica. Possiamo uscire da un monoideismo soltanto focalizzando la nostra attenzione su altro, talvolta sul corpo, talvolta su un monoideismo positivo come accade nella meditazione. Il corpo diventa un veicolo di attenzione privilegiato, il modus per essere centrati sul qui e ora, quel momento presente in cui la mente può far silenzio e lasciare spazio agli altri Sé. Solo con una attenzione focalizzata sul positivo (come il semplice atto di respirare, innegabile nella sua bellezza e nella sua utilità) il pensiero può diventare prima un sottofondo, una sensazione fisica ed emotiva che comunque, talvolta, inquina, e poi svanire.
Pensare diventa un dispiacere quando il Sé autobiografico continua a rimandare film e memorie depotenzianti, che diventano immagini, che si trasformano in un film in cui non siamo stati in grado di agire come avremmo voluto, o potuto nel migliore dei mondi possibili, e ciò diventa narrazione, diventa disistima, diventa disagio che chiede di essere ascoltato e trasformato. Grazie all’ipnosi possiamo riscrivere brani della nostra storia, una nuova sceneggiatura in cui il nostro ruolo cambia e diventa più consono a ciò che sentiamo e che vogliamo essere.
Pensare diventa un dispiacere se la mancanza di senso ci attanaglia e deprime il nostro Sé Spirituale, perso in un mondo di nichilismo, di vuoto in cui nulla vale, nulla conta. In questo mondo entropico, può venire in nostro soccorso il Sé relazionale, grazie al contatto con la natura, al contatto con gli altri. Dedicarsi “all’altro” (come accade nel volontariato) diventa un modo per trovare un senso di utilità capace di sostituire il vuoto di senso con il senso del donare.
Oggi va di moda l’affermazione “la mente mente”. Più che raccontare bugie, la mente narra senza sosta. Ma quelle “bugie” sono state verità, parole e immagini a cui abbiamo creduto. Allora vale la pena ascoltarla e prendersi cura anche di questa parte di noi. Perché è una parte essenziale che fa sentire la sua voce per gran parte della nostra giornata, durante lo stato di veglia. Nell’ottica di un prendersi cura olistico, di una epimeleia che si fa globale, occupiamoci dei nostri cinque Sé. Affinché il pensare si trasformi da dispiacere in piacere, e possa assumere tutta la valenza trasformativa e positiva che può avere nella nostra vita.